Verso Monet – Storia del paesaggio dal Seicento al Novecento è il titolo della mostra che si terrà al palazzo della Gran Guardia di Verona dal 26 Ottobre al 9 Febbraio 2014
105 opere che ripercorrono 3 secoli di storia dell’arte attraverso l’evoluzione della rappresentazione del paesaggio.
Ieri abbiamo potuto vivere l’impagabile esperienza di visionare in anteprima la mostra con una guida d’eccezione: Marco Goldin e di questo dobbiamo ringraziare Segafredo Zanetti, special sponsor, della mostra stessa che ha reso possibile questa visita privilegiata.
Per chi non conoscesse Marco Goldin e la sua Linea d’Ombra, spendo due parole su di lui utili a capire anche la mostra stessa.
Uno dei più importanti curatori a livello nazionale ed internazionale, Goldin deve il suo successo grazie ad una piccola grande rivoluzione che ha messo in atto nel suo campo. Ha creato un format di mostre trasversale, in cui il tema conduttore non fosse sempre e solo un autore o un periodo definito ma piuttosto un tema: un approccio molto più semplice per chi l’arte la mastica meno di un “addetto ai lavori” e infatti il successo di pubblico gli ha dato ragione facendo confluire numeri di visite impressionanti anche in sedi espositive minori.
Sentire Marco Goldin parlarci della sua mostra in termini coinvolgenti eppure semplici, didattici ma mai banali ha riassunto in un attimo il suo curriculum: lui è un uomo con il raro dono di saper avvicinare le folle all’arte.
Cosa ci ha raccontato Marco Goldin sulla sua creatura?
Una storia, una vera storia che si snoda attraverso 3 secoli di arte visti attraverso l’evoluzione della rappresentazione del paesaggio e attraverso le opere che lui a scelto come rappresentative di questa evoluzione : artisti che hanno segnato dei punti cardine, quadri che segnano una svolta o un passaggio, tutto che confluisce in una evoluzione che con le sue parole sembra semplicemente naturale.
La natura, che nel medioevo era percepita come ostile ed escludente, nell’evoluzione dei tempi viene percepita come accogliente luogo di ristoro, ma resta un contorno, un dolce complemento ad una figura umana che rimane in primo piano protagonista, ed è qui che la mostra inizia con una tela di Annibale Carracci – San Giovanni Battista- della fine del 500 dove il santo è in primo piano con la natura che fa da sfondo.
L’inversione dei termini tra uomo e natura arriva con Tintoretto e il manierismo che ribalta questi termini: la figura retrocede e la natura diventa soggetto del dipinto. Nella natura ci si può riposare, la natura e’ benevola.
Tintoretto porta a Roma questa sua nuova visione, che all’epoca era un grande centro di cultura internazionale, e dove quindi convergevano artisti da tutta Europa portando il loro personale bagaglio culturale. E’ così che, insieme all’apertura della prospettiva dei manieristi, si diffonde l’ attenzione al dettaglio dei fiamminghi.
La prospettiva si apre ma la natura non basta ancora a se stessa, piuttosto serve da ambientazione ad una storia. E’ il cosiddetto FALSO DELLA NATURA: cioè il paesaggio che viene ritratto non è la vera campagna romana in cui vivono ma l’ambiente adatto alla storia da raccontare. Se Poussin attinge alla mitologia, Lorrain invece alle sacre scritture, ma quest’ultimo comincia a ritrarre anche la quotidianità del paesaggio romano. La svolta gradualmente avviene.
Questo bisogno di concentrarsi sulla natura si concretizza in un bisogno di essere materialmente nel paesaggio per poterlo ritrarre, non erano ancora i tempi in cui gli artisti lavoravano all’aperto e quindi si ricorre ai disegni: i pittori escono e disegnano nella natura per poi poter rientrare nei loro studi e dipingere prendendo spunto da quegli schizzi.
I pittori olandesi per primi (Ruisdael con la sua -veduta di Alkmaar- ) decretano che il paesaggio e’ nobile in se stesso,danno la predominanza all’ occhio e decidono di non “costruire” più ma di guardare.
Visivamente questo lo cogliamo dalla rappresentazione pittorica del cielo che diventa centrale nella rappresentazione, e’ quello che fa distinguere il vero dal falso ,indica il passare delle ore e degli avvicendamenti atmosferici.
Si delineano così delle esigenze particolari, si ha bisogno di cogliere i dettagli in una percezione non più frontale ma a 180 gradi, una cosiddetta visione panoramica. E per questo si comincia ad usare la camera oscura.
Un altro dei punti di svolta si ha con l’olandese Gaspar van Wittel (comunemente detto Il Vanvitelli) che arriva a Roma a seguito dell’ingegnere Cornelis Meyer per effettuare i rilievi grafici del corso del Tevere: il suo compito era quello di documentare i lavori idraulici con dei disegni.
Fu lui che nel 1718 dipinse la “veduta di Roma” in cui il panorama non aveva più per oggetto la natura bensì la città. Si inaugura un nuovo genere: la VEDUTA. Parallelamente nasce anche il collezionismo legato a questo nuovo tipo di rappresentazione. Per chi veniva in Italia per il Gran Tour la veduta diventa un ricordo di viaggio.
L’uso della camera oscura diventa universale, rende evidente che la ragione può sovrastare il visibile, siamo in pieno ILLUMINISMO.
In questo contesto si inserisce Canaletto che, nato nella bottega di famiglia Veneziana in cui si dipingono scenografie, decide di recarsi a Roma dove viene in contatto con la nuova “moda” pittorica e con il “quadrotto” inizia il suo periodo importante.
Nel “bacino di san marco”, che e’ tra i suoi più importanti pezzi esistenti, la resa realistica e’ stupefacente
Passano 50 anni e con Guardi le architetture si sciolgono, il dettaglio non è più maniacale, è una pittura sempre descrittiva ma quello che si descrive è anche la caduta di Venezia:
è una visione nuova che sta avanzando e, se Guardi e’ l’ ultimo esponente della veduta, lo è tuttavia con un occhio completamente diverso
E infatti si aprono le porte all’ 800 e al Romanticismo, e se per il tedesco Caspar David Friedrich il paesaggio diventa stato d’animo, nell’inglese Turner invece si potrebbe azzardare a dire che ci sono le bozze del modernismo. Quel brandello di realtà che rimane del paesaggio e’ in mezzo all’ interiorità dell anima.
In una sorta di opposizione abbiamo John Constable, un altro inglese che dipinge però sempre e solo la sua valle: in lui il quotidiano subentra alla dispersione cosmica romantica. La sua visione influenzerà molto la pittura francese, dopo l’esposizione di Parigi inaugurando il REALISMO di cui Courbet sarà il massimo esponente.
Con Corot torniamo alla forza primordiale della natura. E’ l’inizio dell’ Impressionismo ma a differenza del passato vi è la prima grande apertura luminosa: l’atmosfera entra nella natura.
In questo periodo si registra il grande sviluppo della ferrovia che permette a tutti di muoversi facilmente, di fatto favorendo la nascita del turismo. Anche gli artisti si spingono alla scoperta di nuove località e vanno a dipingere ovunque.
Impressionismo è pittura en plein air perchè solo stando nel paesaggio si ottiene il vero. Sisley, Renoir, Pissarro narrano di posti in cui “si sta bene” e questa è sostanzialmente l’idea che sta alla base del turismo che proprio in questo periodo comincia a diffondersi.
Ma Cézanne cambia le carte in tavola: con lui cade il dogma del plain air. Si può partire dal vero ma poi si può cambiare, aggiungere e infatti il suo paesaggio e’ completamente diverso dall’ impressionismo. Cezanne scompone la natura nei suoi elementi, assolutizza e semplifica isolando gli elementi di forza del paesaggio e ponendoli sulla superficie. Quello che si crea è uno spazio MENTALE.
L’ Impressionismo cede.
Nel 1887 Van Gogh inizia il suo vero percorso una volta approdato a Parigi, realizzando il suo più grande (dimensionalmente) quadro: “Orti a Montmartre” In questa opera compare l’azzurro e il rosso fino ad allora estranei ai suoi lavori e inizia il suo tratto tipico, anche se non ancora così denso, in cui la natura è vista in chiave anti naturalistica.
Progredendo, la descrizione delle forme della natura avviene sempre più tramite un nuovo senso del colore: il suo diventa un paesaggio di natura emozionale, senza equilibrio, in cui i colori sono fedeli al paesaggio interiore dell’artista, e non più all’oggettività della natura. Van Gogh dipinge la natura per come la sua testa e il suo cuore l’hanno trasformata.
Con Gauguin la natura diventa ricerca del primordiale, spinto in questo da una necessità talmente prorompente da fargli affrontare un viaggio incredibile per trasferirsi a Tahiti dove troverà finalmente quella natura intesa come elemento dell’origine.
La mostra prosegue con la sezione dedicata a MONET di cui sono esposte 22 opere e con lui è come se il percorso ricominciasse seguendo l’evoluzione di questo grande artista.
Si inizia con i quadri dipinti a Fontainebleau secondo uno stile ancora molto vicino a Sisley: una rappresentazione della realtà in cui domina la luce.
Quindi Monet attraversa la fase più pienamente impressionista: siamo negli anni di Argenteuil, località vicino a Parigi che, grazie a lui, diventa in quegli anni la capitale del nuovo movimento nato ufficialmente a Parigi nel 1874.
Ma poi il cambiamento. Alla settima (e penultima) mostra dell’impressionismo, Monet si presenta con due grandi novità: la prima è che il quadro viene sì iniziato en plein air, ma viene finito in studio.
La seconda, importantissima innovazione è il concetto della SERIE.
La serie è manifestazione della necessità di rappresentare un oggetto nel suo “essere nel tempo”: un quadro solo non è sufficiente a testimoniare la piena autenticità di quanto vi è ritratto. E’ il caso, tra gli altri, della serie dedicata alla “Cattedrale di Rouen”: per rappresentarla Monet deve lavorare su molte tele contemporaneamente per testimoniare le vere luci della giornata. Come esse incidono e modificano la realtà stessa del soggetto.
Monet allora si concentra su una immagine della natura silente. Su di essa vi è una riflessione profonda, e la pittura non e’ più la trasposizione di un momento ma di una memoria.
Negli anni 90 le serie acquisiscono un’enorme poesia e persino l’elemento architettonico diventa natura, come nella Cattedrale qui esposta che può essere percepita quasi come una massa dolomitica.
La sua diventa pittura dell’ etere: quello che si rappresenta non è un paesaggio ma i suoi fumi, l’aria, sensazioni. Ritrarre en plain air non è più importante, quello che è importante e’ il risultato, il quadro stesso.
Le ninfee vengono presentate a Parigi come una serie di 50 quadri ambientati nell’acqua: nei primi la presenza di un ramo di salice è un ultimo segno che testimonia una prospettiva precariamente reale. Nei quadri successivi si perde anche questa precarietà e si entra totalmente nella materia dell’acqua.
Monet e’ interessato solo alla resa della luce, la materia sempre più si diluisce, ne rimane solo un accenno come piccole ceneri dilavate.
Con l’ultima opera del 1918, “il salice piangente”, si annulla totalmente la percezione di aggancio alla realtà.
Tutto è materia che pulsa, la visione si è talmente ravvicinata da diventare cieca ed e’ ormai resa possibile solo dalla memoria. La realtà e’ totalmente scomparsa per diventare puro ricordo.
orari Lunedì -Giovedì 9-19 Venerdì-Domenica 9-20 per qualsiasi altra info potete cliccare qui oppure sul sito di linea d’ombra
Comments
Patrizia…
Santa Cleopatra, che viaggio!!!
E le foto di Gabrio…
Stavo per dar di matto a quella dell’infilata con al centro Il salice piangente…
…e che dire del tuo cappotto supermegafashion?
Brava, belli, bis!!!
Ci vuoi sempre un sacco di bene tu Ernesto!! Grazie di cuore!