Questa bellissima ragazza che vedete qui sopra è Adua Villa, scrittrice e una delle più conosciute esperte di vino del nostro paese.
Ma la cosa per cui io conosco Adua è per l’hashtag che ha coniato #vinopop , che è molto più di un semplice hashtag ma è un vero proprio manifesto che vuole sensibilizzare il mondo del vino ( produttori, esperti, sommelier ecc) a usare un linguaggio più “normale”, più umano, più comprensibile da tutti da una parte, meno polveroso, meno autocelebrativo e, perchè no diciamolo, meno noioso dall’altra!!
Ecco Adua mi è piaciuta fin da subito già per questo. Poi se la conosci, scopri che è tremendamente simpatica, proprio come le sue lentiggini lasciano presagire, ed è una persona che ha una capacità comunicativa fuori dal comune.
Nella mia memoria questo Vinitaly 2015 sarà quello del vino biologico. Almeno il 30% delle cantine con cui ho parlato hanno indicato che la loro produzione è almeno in parte biologica, oppure dichiaravano di stare effettuando la conversione al biologico. Un dato positivo, se non che alcuni dei nomi che hanno fatto queste dichiarazioni mi hanno fatto riflettere che forse non è tutto oro quel che luccica, o meglio non è tutto bio quel che è verde.
Chi ci conosce sa che la nostra attenzione per quelli che mi hanno insegnato a chiamare vini naturali, è grande. Abbiamo avuto due grandissimi maestri a instradarci e farci conoscere le eccellenze di queste realtà: Luca dal Lago del Casin del Gamba che nel suo ristorante ha introdotto una carta intera riservata ai vini Naturali, e Pierluigi Portinari de La Peca che vanta una delle migliori cantine d’Italia. E non solo abbiamo imparato ad apprezzarli e ad amarli, ma i nostri fisici hanno imparato a ribellarsi con chiari segnali fisici a quei vini non fatti “come si deve”: mal di testa, scarsa resistenza al grado alcolico ecc. ecc.
Come in tutti i fenomeni, per quanto positivo possa essere la diffusione di una certa filosofia di produzione, è chiaro che vi sono delle dinamiche atte a soddisfare quote di mercato che diventano appetibili, e i vini biologici sono proprio questo: rispettando determinati parametri e richiedendo una procedura di certificazione, le etichette potranno riportare la scritta vino biologico.
Il mercato sta rivolgendo la sua attenzione verso un consumo salutisticamente consapevole e i produttori di vino non si fanno scappare questa opportunità.
Se è quindi vero che tutti i vini che riportano questa indicazione hanno rispettato determinati standard, non è però vero che tutti quelli che non hanno la scritta biologico non siano in realtà vini “sani”.
Parliamo soprattutto di piccoli produttori, che spesso fanno il vino come si faceva una volta, senza solfiti, senza lieviti artificiali, senza aggiunte di derivazione chimica, abbracciando talvolta filosofie della biodinamica ma senza essere certificati, magari semplicemente perchè la procedura di certificazione è per loro troppo costosa.
Ecco quindi perchè è più giusto parlare di vini naturali, per cui non esiste una certificazione, se non la conoscenza dei metodi produttivi delle cantine stesse.
Se molti puristi del vino storgono il naso a questa nuova tendenza, ho sentito reazioni quasi aggressive nei confronti di quella che è una nuova nicchia che sta prendendo sempre più piede: il vino vegano.
Al di là delle scelte consumistiche di ciascuno (come ben sapete non non siamo nè vegani, nè vegetariani), a me il tema interessa moltissimo per un discorso molto semplice: credo sia un mio diritto sapere cosa sto bevendo, e se esistono i vini vegani significa che esistono vini che vegani non sono, ergo…cosa sto bevendo? Scopriamo così che per esempio alcuni vini contengono albumina che serve come chiarificante.
Potrà essere una cosa che non fa male a nessuno, ma credo che ben poche persone sappiano che bevendo un bicchiere di vino si stanno ingurgitando anche tracce di uovo, e molto semplicisticamente credo che questo non sia corretto e di nuovo una riflessione: perchè il vino è forse l’unico alimento che non riporta gli ingredienti in etichetta?
In ultimo vorrei menzionare un’altra realtà enologica di cui ignoravo l’esistenza e di cui mi ha parlato Adua, i vini Kosher. La parola ebraica “Kasher o kosher” significa conforme alla legge, consentito, e quindi Kosher è l’insieme di regole religiose che governano la nutrizione degli Ebrei osservanti.
Le regole che riguardano il vino, oltre a particolari procedimenti , dicono esplicitamente che che le uniche immissioni permesse sono:
– Anidride solforosa S02
– Zuccheri purché controllati in forma di mosto concentrato, solo se certificato difficilmente reperibile in Italia da controllare la disponibilità in Francia o in Israele
– Aggiunta di saccaromiceti controllati dal Rabbinato francese tipo Kl Lavine o prodotti simili accompagnati da una certificazione kosher
– Bentonite
Riflettendoci tutte le tipologie di produzione che abbiamo toccato sono animate da motivi molto diversi ma instradate versa una medesima direzione: la salubrità di uno degli alimenti più antichi che accompagna la storia dell’umanità da sempre.